RESTAURO CONSERVATIVO O INTEGRATIVO?

Manutenzione, ripristino, conservazione, recupero sono tutti termini legati al restauro, una pratica dalle origini antichissime che ha cambiato significato e modalità nel corso dei secoli.

Restaurare vuol dire intervenire su beni che hanno un certo valore storico, artistico o antropologico, al fine di salvaguardarli e preservarli dai segni del tempo. Ma se oggi è questo il significato che diamo al restauro, nel tempo esso è stato interpretato nelle maniere più diverse, oscillando tra due teorie agli antipodi: il semplice mantenimento delle caratteristiche dell’opera e l’adeguamento al gusto che vigeva all'epoca.

Tuttavia, per quanto ai giorni nostri si tenda a seguire una linea comune, esistono ancora “scuole” o metodologie diverse applicate al restauro di un oggetto antico.

E così, tra le tante diatribe, da sempre si scontrano i sostenitori del metodo conservativo e quelli dell’integrativo. Cerchiamo di capire di cosa si tratta.

Il restauro conservativo è quell’intervento che punta a consolidare le parti esistenti del bene che sono soggette a danni e usura.

L’obiettivo è quello di salvaguardare senza però apportare alcuna modifica e aggiunta ulteriore rispetto a come era in origine il pezzo in questione. Non si deve ottenere un oggetto che sembri nuovo di zecca ma si vuole esaltare la sua antichità e renderla protagonista.

Il restauro integrativo invece si effettua su elementi che sono mancanti di parti fondamentali e che quindi vengono reintegrate. Inoltre, se ci sono zone molto danneggiate possono essere rifatte ex novo. Il fine è quello di avere un’immagine il più possibile simile a come doveva essere in origine.

Quest’ultimo metodo però non è ormai molto utilizzato, perché a partire dal Novecento ha lasciato il posto a quello conservativo. L'integrativo viene scelto prevalentemente per interventi drastici finalizzati a salvare la stabilità o l’agibilità di un bene architettonico.

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Autore / Fonte: Staff Michelangelo Randolfi